Beh no, non é che adesso, dal basso della mia miseranda educazione da Perito (una definizione un programma) mi sia messa in testa di riscattarmi imparando un po' di
latinorum.
Peró in questi giorni avevo portato il Mezzovikingo all'asilo, ed ho realizzato improvvisamente che il Sole era giá spuntato, volatili sconosciuti cinguettavano gioiosi nella mattinata ancora fredda, la Primavera non é cosí lontana e che, un po' piú a Sud, il Carnevale sta giá per finire mentre qui abbiamo ancora in mente i ninnoli del Natale.
Il Carnevale, festeggiamento indecente riservato perlopiú a Gente Scostumata repressa dai Riti Cattolici, mi manca un bel po', qui nell'Ultima Thule. Mi mancano le gite spontanee a Venezia a veder eccentrici tripudi di colori e forme, fatti di piume stoffe tulle e passamanerie. Mi mancano i crostoli, e le frittelle con la crema di zabaione delle mie nonne. Mi dispiace un po' non poter pensare a una mascherina da inventare per il Mezzovikingo adesso che va all'asilo, e non poter portarlo in centro a vedere i Carri Mascherati. Ho nostalgia delle strade spolverate di coriandoli, preludio ai colori della primavera che arriva, e che resistono ostinatamente alle piogge e alla fanghiglia del disgelo per molti giorni dopo il Martedí Grasso.
Gli Svedesi, col loro retaggio di severe norme protestanti, non festeggiano il Carnevale. Molti non sanno nemmeno cos'é, e lo confondono con un'oscura e fortunata
serie televisiva della HBO, o eventualmente pensano alle decoratissime donnine svestite di Rio.
Siccome peró Pasqua e Quaresima esistono pure qua, un minimo di gozzoviglie alimentari del Martedí Grasso (o Fettisdag, che ha lo stesso significato) s'é sviluppato lo stesso. In una terra dove le scure farine d'avena e segale accompagnavano la vita quotidiana, ecco che l'Apoteosi della Golositá era raggiunta con un panetto di farina bianca, semila in latino, che fu poi storpiata in Semla alle Latitudini Boreali, ed é un panetto (o bulle) lievitato al cardamomo, ripieno di pasta di mandorle e panna montata, e spolverato di zucchero a velo.
La Semla in origine non era tanto ricca quanto l'attuale, ed era rigorosamente riservata al Martedí Grasso. Nonostante queste limitazioni, l'ingozzarsene era giá da allora cosí pericoloso tanto che il re Adolf Fredrik, giá cagionevole di salute, ne morí d'indigestione il Martedí Grasso 12 Febbraio del 1771.
Con l'avanzare del Benessere e del Consumismo la tradizione é venuta a cadere, e ora la Semla puó essere gustata durante un ben piú ampio periodo. Qualcuno ha pensato bene di scavalcare il confine e andare a ritroso fino al periodo prenatalizio. In quest'ultimo caso, in omaggio ai
lussekatter, l'impasto s'arricchisce di zafferano. I Puristi tuonano contro questa Inaccettabile Blasfemia; personalmente la proveró prima o poi. L'unica remora é il contenuto energetico di questo dolcetto dall'aria angelica: si dice che ne bastino quattro per soddisfare il fabbisogno calorico quotidiano.
Per completare la tradizione, la semla andava mangiata dentro un piatto fondo riempito di latte tiepido (hetvägg, che non significa parete calda come lo Svedese moderno suggerirebbe, bensí triangoli caldi, dalla lingua antica e dalla forma che prendevano i panetti dentro un pentolone di latte caldo). Il Vikingo assicura che questa é una barbara usanza che solo nel Profondo Sud dello Skåne adottano, altri mi dicono che é un retaggio di tempi passati. Per il Norrlandese quindi, l'accompagnamento ideale é una tazza di caffé nero.
Non mancano dissertazioni pseudopsicologiche sui tratti caratteriali che emergono da come si mangi il dolcetto: prima la calotta, con cautela? tutto assieme sbrodolando in un tripudio di panna? con le mani, con la forchetta, evitando lo zucchero a velo sul naso o incipriandosene?
Naturalmente, non mancano neppure accurate classifiche nei giornali locali su quale pasticceria abbia la miglior semla della cittá o dei dintorni. Le valutazioni sono accompagnate da dotte disquisizioni e commenti sull'equilibrio tra pasta di mandorle e panna, sulla qualitá di quest'ultima, sulla morbidezza e il contenuto di cardamomo dei panetti. Altri propongono -blasfemia!- varianti alla ricetta, o si sbizzarriscono nel tagliar la calotta in forme alternative. Se qualcuno dovesse passare a trovarmi, lo indirizzeró volentieri verso la pasticceria che é pluripremiata qui all'Ultima Thule, per non far troppa pubblicitá ora.
E, siccome é il caso di passare a cose piú concrete, eccone la ricetta. L'aspetto a preparazione ultimata si vede nella foto di sopra.
Tempo: 2 ore (ma il tempo é relativo, dimostró
qualcuno)
Ingredienti per 14 pezzi:
2 uova
50 g lievito di birra
100 g burro
3 dl latte
Un pizzico di sale
Un cucchiaino di cardamomo
1 dl zucchero
Un litro di farina 00
Pasta di mandorle
Panna montata
Zucchero a velo
Sbriciolare il lievito. Sciogliere il burro, aggiungerlo al latte e farlo intiepidire (37 gradi). Versarne un po’ sul lievito e scioglierlo, poi aggiungere il resto. Aggiungere sale, cardamomo, zucchero e un uovo. Mescolare e aggiungere la farina, poi impastare. Lasciar lievitare finché l’impasto ha raddoppiato il suo volume. Lavorarlo sul tavolo infarinato avendo cura di eliminare le bolle d’aria. Dividerlo in 14 parti e formare dei panetti rotondi che andranno lievitati sotto uno strofinaccio per mezzora. Spennellarli con l’altro uovo -sbattuto- e cuocere in forno a 225-250 gradi per 8-10 minuti. Lasciarli raffreddare.
Quando saranno freddi, tagliarne la calotta e mettere dentro il panetto un po’ di pasta di mandorle ammorbidita con un po’ di latte. (La pasta di mandorle si puó comprare o far da sé con mandorle dolci, zucchero a velo e latte passati al mixer). Montare la panna e ricoprire generosamente (per ogni semla ci vuole mezzo dl di panna) lo strato di pasta di mandorle. Rimettere la calotta tagliata in precedenza e spolverare con zucchero a velo.
Buon appetito. Non fate come Adolf Fredrik, peró, mi raccomando (io declino ogni responsabilitá, nel caso).